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La felicità è questione di coraggio

La felicità è questione di coraggio

Febbraio 1, 2017 Mariarita Sciarrone

Arriva prima o poi un momento della nostra vita in cui nella testa inizia a tintinnare un campanello, che suona un po’ come il preludio di una crisi: sentimentale, lavorativa o personale. Il più delle volte tendiamo ad ignorarlo quel campanello che mina la nostra felicità, nel tentativo di lasciar passare il momento. Ma fidatevi, difficilmente accadrà. Siamo semplicemente noi bravi a nasconderlo attraverso distrazioni di ogni sorta, perché ammettere a noi stessi che abbiamo fallito, che abbiamo fatto un errore di valutazione, che abbiamo preso una strada che non è più la nostra, è svilente. In realtà non sono i percorsi ad essere sbagliati: semplicemente le cose cambiano, noi cambiamo. E quello che andava bene tre anni fa, può smettere di funzionare oggi. Riconoscerlo è un atto di amore verso noi stessi, affrontarlo è un atto di coraggio. Come la felicità. 

A diciott’anni credevo che la cosa migliore per me fosse quella di lasciare la vita di provincia e andare a studiare nella grande città. A ventitré anni la grande città ha iniziato a soffocarmi ed ho sentito il bisogno di un posto a misura d’uomo. A ventisette ho capito che avevo una forte urgenza di viaggiare e vedere il mondo, roba che mi sarei messa uno zaino in spalla e sarei partita all’istante; e così ho fatto –senza zaino in spalla però-. Quando ho raggiunto i trenta è stato il momento del voler accorciare le distanze, trovare un posto da chiamare casa, ché per quanto uno possa integrarsi in un luogo, non sarà mai come quello in cui sei nato e cresciuto. A trentaquattro anni ho capito che il posto fisso non esiste, che si può lavorare bene e meglio non necessariamente seduta dietro una scrivania per otto/dieci ore di fila. Per anni mi avevano inculcato che più avrei studiato più avrei avuto la possibilità di trovare un posto sicuro, per la vita. Ed io ho fatto questo: ho studiato, tanto. Ho collezionato corsi di aggiornamento, lauree, master, stage, tirocini, ho lavorato gratis per avere più esperienza, mi sono trasferita all’estero per perfezionare le lingue. E alla fine è arrivato il contratto a tempo indeterminato: solo che quando è arrivato, era cambiato il mondo ed inevitabilmente ero cambiata io. E mentre qualcuno continuava a predicare l’importanza di lavorare di più per guadagnare di più, fare più straordinari per acquisire  più clienti, io iniziavo a leggere di filosofie totalmente opposte, di conciliazione tra vita privata e lavoro, che non era sempre vero che più si lavorava e più si guadagnava. Ascoltavo storie di aziende virtuose che chiedevano ai dipendenti di lavorare per raggiungere un obiettivo qualitativo. C’era persino qualcuno a cui non importava da dove lo raggiungevi quell’obiettivo, se da casa o dalla stanza di un albergo.

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Erano non uno, ma cento campanelli di allarme. Li ho ignorati per molto tempo, mi sono lasciata convincere per mesi che lasciare un contratto a tempo indeterminato senza avere un’alternativa sarebbe stata una follia. Sembrava quasi che non ci fosse una via d’uscita. Eppure io sapevo che una via d’uscita c’era, che la propria felicità è più importante di un posto di lavoro stabile, che l’onesta nei confronti degli altri è doverosa, ma quella verso se stessi è un imperativo morale. Quando ho smesso di mentire a me stessa, quando quel campanello non ha più smesso di suonare, è stata come una tranvata in piena faccia, ma anche una liberazione. In un primo momento sentivo gli occhi puntati addosso di tutti quelli che pensavano fossi pazza, al punto che ho finito per crederci davvero ed ho cercato di estraniarmi da me e guardarmi da fuori.

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Cosa avrebbe fatto un’altra persona al mio posto? Perché non potevo essere anche io come tutte le persone normali che scelgono di studiare, trovare un lavoro stabile, sposare un uomo che le ami –possibilmente coetaneo – fare due figli e vivere nella tranquillità più totale? Riflessioni come queste, possono mandarti in pappa il cervello. Fidatevi. Possono convincerti che stai sbagliando tutto. Poi mi sono resa conto che non si tratta di vivere una vita tranquilla o meno; ognuno di noi ha la propria storia, il proprio percorso: quello che siamo è frutto di scelte, a volte sofferte, ma soltanto nostre. Ed è quando ce ne rendiamo conto che saremo in grado di rovesciare il tavolo, salutare tutti ed uscire di scena. Partire per quel viaggio a lungo sognato, mettere fine ad una storia che non ha più linfa vitale, lasciare un lavoro che non ci soddisfa più, è davvero così difficile? Sì certo che lo è, ma spesso la felicità si nasconde dietro le paure che riusciamo a superare. Quelle decisioni che ci sembrano degli ostacoli insormontabili, una volta prese avranno alleggerito il nostro cuore. Ed è lì che avremmo la certezza di aver fatto la scelta giusta.

La cosa più importante da fare è isolare i condizionamenti esterni o perlomeno selezionarli. In fin dei conti ci sarà sempre qualcuno che ci dirà che stiamo sbagliando tutto, che criticherà le nostre scelte, che tenterà di portarci con i piedi per terra. Le persone piccole, quelle che ci giudicano con superficialità e senza aver camminato “almeno un miglio con le nostre scarpe”, le dovremmo quasi ringraziare. Se tanti ostacoli li supereremo, sarà anche grazie a quei #noncelafaraimai sussurrati, a volte urlati, spesso nascosti dietro sguardi di commiserazione. Saranno la nostra spinta a fare meglio, il nostro orgoglio sepolto che finalmente si deciderà a riemergere in superficie. Non sarà facile, soprattutto se con noi non ci sarà una rete di sostegno, pronta a raccoglierci tutte le volte che cadremo. Ma cosa succede quando sono le persone che fanno parte della nostra vita, quelle che conoscono il nostro percorso, quelle con cui abbiamo condiviso pezzi di vita, a guardarci con l’aria di chi pensa che siamo un caso disperato?  Se essere giudicati da chi ci conosce superficialmente fa parte del gioco, è quando a farlo sono le persone che ami che suonerà davvero come una sconfitta. Vi diranno che lo fanno per il vostro bene, io però credo che chi ti ama debba anelare solo alla tua felicità. 

Personalmente se mi guardo indietro non posso andare fiera di tutte le mie scelte. Sicuramente sono stata una pazza a rinunciare all’Erasmus per amore di una persona che non so neanche più dove sia e forse anche a tornare in Calabria dopo averla lasciata per dieci anni. Il punto è che ci sono scelte che cambiano definitivamente il corso della nostra vita e altre che lo deviano soltanto. Per intenderci: l’Erasmus non potrò più farlo, cambiare di nuovo città sì. A conti fatti ho chiuso una porta ad una grande opportunità, ma se ne sono presentate tante altre. La mia mezza pena è questa: pensare che se fossi partita non avrei fatto tante altre cose che ho fatto rimanendo. Qualsiasi siano stati i nostri errori, fanno parte del gioco, ma spesso è grazie a questi errori che si raggiunge la felicità, sbagliando. Con coraggio. 

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E a voi è capitato di prendere una decisione difficile contro tutto e tutti, alla ricerca della felicità?

 

Mariarita Sciarrone
Mariarita Sciarrone

Giornalista, esperta di marketing territoriale e digital strategist. Sembrano tante qualifiche, ma sono tutte racchiuse in una professione.  In parole povere mi occupo di valorizzare aziende e territori. Lo faccio principalmente mettendo assieme strategia e parole. Hai bisogno di aiuto?  LAVORA CON ME


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felicità, lo stretto indispensabile, motivazionale, psicologia, segreto per essere felici, sfide

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✍🏼Scrivo contenuti e creo strategie digitali per aziende che hanno un’anima. 📍#Calabria e #suditalia lenti Nostalgica per vocazione 👉@secretcalabria

La settimana più lunga dell’anno sta per volger La settimana più lunga dell’anno sta per volgere al termine e sono successe così tante cose che ho pensato di metterne alcune qui, nero su bianco. Sono state molte più di 10 in realtà, non tutte belle, ma ho imparato che finché siamo qui a parlarne va bene così.
Un breve riassunto qui:
1. Sono andata a raccogliere arance e clementine. Un rito, una tradizione, una preghiera e un ringraziamento che si compie ogni anno, poco prima di Natale. Ci vado con papà, nel terreno che acquistò nonno moltissimi anni fa. Quando vengo qui mi sento di celebrare la sua memoria nel modo più sensato, sporcandomi le mani di terra, passando del tempo con mio papà, suo compare, mia mamma. Una giornata semplice, ma di una ricchezza inestimabile. 
2. Abbiamo rinnovato la sua stanzetta, un po’ più sua e un po’ meno mia. Un angolino per me l’ho comunque tenuto e parla di Calabria. 
3. Con Annalisa de @agriturismoalanterna siamo  stati a vedere in anteprima Semidei, il film di Fabio Mollo e Alessandra Cataleta. Delicato, profondo, una cosa di cui essere orgogliosi.
4. Poco dopo siamo finiti in ospedale, ma siamo state molto coraggiose. C’è da dire che in ospedale questa settimana ci siamo finiti 4 volte, ma siamo tornati tutti interi. E mi sembra un buon traguardo. 
5. La recita per fortuna non ce la siamo persa. La sua ultima recita della scuola dell’infanzia. Stranamente non ho pianto, ma mi sono sentita felice, per davvero.
6. Abbiamo aspettato e accolto il ritorno di amici e famiglie che ci siamo scelti ed ho capito che la lontananza non può scalfire alcun affetto se questo è autentico davvero
7. La mia faccia nel frattempo è stata più o meno questa. Poche ore di sonno, una serie di to do list da spuntare e neanche il tempo di andare dal parrucchiere. Però ho imparato a fare le onde.
8. Quest’anno ho voluto ringraziare alcune persone e l’ho voluto fare con qualcosa di mio e di personalizzato. 
9. Nel frattempo mi è arrivata la comunicazione di avvenuta registrazione del Marchio. Una cosa che avrei dovuto molto tempo fa ma l’ho fatta solo pochi mesi fa.
10. L’unica ragione per cui amo il Natale è perché con alcune persone riusciamo a stringerci di più. 

Buona vigilia ♥️
Novembre è sempre stato il mio mese, ma quest’a Novembre è sempre stato il mio mese, ma quest’anno l’ho lasciato andare senza troppi clamori. 
Per anni ho fatto festa laddove non era contemplata, ho acquistato biglietti aerei nel mese che “dove vai che piove ovunque” e trascorso ogni anno in una capitale europea diversa.
Poi capita che la voglia di festeggiare sprofondi nelle pieghe del quotidiano, fino a nascondersi. E questo novembre è andata un po’ così. 
Nonostante tutto, le foto scattate a novembre mi hanno fatto pensare che ci sono stati più di dieci momenti felici e lo so per certo, perché ho fatto fatica a scegliere dieci foto. Eccole comunque qui, a ricordarmi che: 
1. Anche questo novembre abbiamo celebrato il vino e ho avuto il privilegio di farlo in una giornata di autunno rubata all’estate;
2. Abbiamo poi festeggiato il tuo nome, che più lo pronuncio e piu mi rendo conto quanto ti calzi a pennello e speriamo solo che da grande tu non faccia come me, che non perdo mai occasione per rinfacciare ai miei i casini che hanno combinato col mio di nome; 
3. Anche a novembre sono stata letteralmente stracciata a Burraco da mio papà e mi sono ricordata che le nostre giocate a carte sono tra i ricordi più belli di tutta la mia vita, perché per noi le carte sono sempre state una filosofia di vita e perché dal gioco alle carte ho tratto uno degli insegnamenti che mi ha trasmesso mio papà: se vuoi conoscere davvero una persona devi metterla ad un tavolo da gioco. Ci avete mai fatto caso? 
4. A novembre abbiamo messo i pattini ai piedi e ci siamo iscritte a pattinaggio. In realtà io ti ho solto guardata, ma ogni volta che tu sorridi o impari una cosa nuova, io mi rendo conto di cosa voglia dire amare incondizionatamente un’altra persona: essere felici per lei più di lei; 
5. Foto molto dump, ma mi ricorda quel giorno che ho avuto il privilegio di parlare ai ragazzi del mio paese delle alternative possibili che ci sono prima di lasciare il luogo in cui si è nati per scegliere l’altrove. Ho provato a dirgli quello che avrei voluto dicessero a me alla loro età. Magari me ne sarei andata ugualmente, magari no. Nessuno ha provato a fermarmi, quindi non lo sapremo mai. 
{continua nei commenti}
Nella mia vita non sono scesa in piazza molte volt Nella mia vita non sono scesa in piazza molte volte, non posso considerarmi un’attivista, seppur cerchi, come posso, di fare divulgazione e sensibilizzare su alcuni temi.
Credo però nelle rivoluzioni dal basso, ma soprattutto sono convinta che ognuno debba manifestare come può. 
Credo senza dubbio che ci siano persone che hanno più consapevolezza di quanta ne abbia oggi io.
Di sicuro ho sempre ammirato e sostenuto chi scende in piazza, chi scende in piazza sempre. Non solo per rivendicare i propri diritti, ma soprattutto quelli delle altre persone. So perfettamente che se dovessimo lottare per tutte le ingiustizie, dovremmo scendere in piazza ogni giorno. Eppure, ci sono persone che lo fanno, accomunate da una responsabilità collettiva. 
Ieri, in piazza, a Messina, c’erano persone di ogni età. Nonne, mamme, ragazze, ma anche molti uomini, che sono scesi in piazza per le donne e con le donne. Perché le cose si possono cambiare solo insieme. Ed io mi sono più volte commossa. 

Non sono scesa in piazza molte volte, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. 
Perché domani, quando mia figlia mi chiederà “ma tu dov’eri?”, voglio poterle dire che anche io ho fatto la mia piccola, infinitesimale, parte. 
Per i diritti di tutte le donne e per costruire una società migliore di questa. 
Voglio poterle dire che lei finalmente potrà sentirsi libera e non semplicemente coraggiosa. 
Chè io la violenza vera non l’ho mai conosciuta, ma ne ho vista tanta altra, fatta di mainsplaining quando ancora non sapevo neanche dargli un nome, di antimeridionalismo, quella violenza anche solo immaginata, fatta della paura di tornare a casa da sola la sera, quando vivevo nelle grandi città, di dover abbassare la testa e accelerare il passo quando mi trovavo in strade poco frequentate, di parole inopportune, inadeguate, svilenti.
Ed è proprio dalle parole che partirò. Perché è con le parole che lavoro ogni giorno e perché voglio credere che se da oggi iniziamo a prevenire la violenza verbale, forse elimineremo anche quella fisica. 
#nonunadimeno #nonunadimenomessina #25novembre
Vi racconto che cosa si può fare con questo frutt Vi racconto che cosa si può fare con questo frutto qui che è il bergamotto di Reggio Calabria, il re degli agrumi. Venite con me. 
Ho scoperto tutti i segreti del Bergamotto di Reggio Calabria durante Bergarè, importante evento di promozione e valorizzazione di questo agrume prezioso.

#bergare #bergamottodireggiocalabria #bergamotto #eccellenzecalabresi
Del #bergamotto di Reggio Calabria pensavo di cono Del #bergamotto di Reggio Calabria pensavo di conoscere tutto. 
Non sapevo, invece, che esistono tre varietà diverse in base alla zona di produzione e che da queste varietà di frutto si possono estrarre essenze diverse. Più amare se provenienti dal Bergamotto di Reggio Calabria Centrale, più fruttate mano mano che ci avviciniamo alla fascia Jonica orientale. 
Ho imparato quanto sia importante il riconoscimento della DOP anche per il frutto fresco e non solo per l’olio essenziale. 
Basti pensare che François Demachy, il naso di Dior, ha scelto per le sue creazioni il Bergamotto San Carlo (il nome indica il luogo di coltivazione del bergamotto) e il raccolto annuale di quell’area viene riservato in esclusiva alla Maison Dior. E mi è venuto da pensare una cosa su cui rifletto spesso: ci sentiamo più belli quando sono gli altri a raccontarcelo. 
Grazie all’evento Bergarè siamo stati noi reggini, noi calabresi, a poter raccontare quanto di più prezioso identifica il territorio di Reggio Calabria, perché finalmente non ce la siamo raccontati da soli, ma abbiamo parlato all’Italia e al mondo. 
C’è bisogno di parlarne ancora del bergamotto di Reggio Calabria? Sì, perché ancora oggi si fa confusione su diversi aspetti. C’è bisogno di parlare della sua identità territoriale, di mostrarne la sua forma che non è quella che le aziende acquistano su istock, o che appare sui principali motori di ricerca, di raccontarne i suoi utilizzi, dal bergamotto buono da bere, al bergamotto che fa bene alla salute.
Abbiamo una grande responsabilità, non solo noi che facciamo comunicazione, ma i calabresi tutti.

Serve acquisire maggiore consapevolezza, essere curiosi, informarci, altrimenti poi non ha molto senso arrabbiarci se ci raccontano come non siamo. 
Mi dovrete sopportare ancora, perché ho diverse cose da dire e ringraziamenti da fare. Nel frattempo un assaggio di questi giorni.

#bergare #bergamotto #bergamottodireggiocalabria
Questa è una storia di fatica. Lo capisci osserva Questa è una storia di fatica. Lo capisci osservando le mani di Vincenzo, ma soprattutto è lui a dirtelo. 
Vincenzo Amodeo ha iniziato ad estrarre l’essenza di bergamotto a 13 anni, perché così faceva suo padre, suo nonno e il suo bisnonno. Vincenzo non ha fatto di questa arte il suo lavoro principale, ma oggi è considerato l’ultimo artigiano rimasto a saper estrarre a mano l’essenza di bergamotto.

“Spero di poterlo fare ancora a lungo, ma dopo di me non ci sarà nessuno ad estrarre l’essenza a mano con il metodo a spugna”. 

Vincenzo non ha avuto figli e i suoi nipoti hanno preso altre strade. Un’eredità preziosa che andrà perduta.
Le mani non possono fare quello che oggi fa una macchina. Ma noi siamo  fortunati ugualmente, perché abbiamo il privilegio di vedere tutto questo, di conoscere delle storie che rischiano di andare perse ma che possono continuare a vivere attraverso  i racconti.
Possiamo raccontare a voi tutto quello che abbiamo appreso e stiamo apprendendo sul bergamotto e voi potrete raccontarlo ad altre persone. 
La storia di un territorio, la sua valorizzazione passa anche da qui, dalle sue risorse e dal modo in cui scegliamo di divulgarle.
Più siamo a conoscere queste risorse e la loro importanza, più un territorio viene valorizzato. 
Perché la verità è che spesso è chi vive il territorio che ne conosce meno la sua storia.
E noi vogliamo contribuire a cambiare questa tendenza. 
Fino a domani potrete partecipare agli eventi Bergarè a Reggio Calabria al Castello Aragonese.
Il racconto continua nelle stories. 

#bergare #bergamotto #bergamottodireggiocalabria
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