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Franco Arminio - i viaggi dell'anima
Civita e i viaggi dell’anima

Civita e i viaggi dell’anima

Novembre 7, 2018 Mariarita Sciarrone

Avete mai sentito parlare dei viaggi dell’anima? Sicuramente sì. Protagonisti sono quei luoghi che ti mettono di fronte te stesso. Sono viaggi coraggiosi e li puoi fare solo in alcune destinazioni lontane dai circuiti turistici, dove puoi sentire davvero il suono della tua voce, imparare a conoscere i tuoi passi, chiudere a chiave i rumori del mondo esterno ed entrare in contatto con l’altro. L’ho ribattezzato così il mio ultimo weekend a Civita: un viaggio dell’anima.

Blogtour Civita nel cuore

Lo scorso ottobre sono stata ospite di un blogtour, organizzato da Borgo Slow, progetto ambizioso con l’obiettivo di connettere i piccoli borghi a nuovi modelli di ospitalità diffusa.

Un blogtour per ripartire e per far conoscere la vera essenza di questo luogo, grazie al contributo dei piccoli imprenditori del borgo.

Assieme ad 11 blogger ho trascorso due giorni alla scoperta delle 7 meraviglie di Civita.

Cosa vedere a Civita – i viaggi dell’anima

Arrivata in questo borgo di meno di mille abitanti ai piedi del Parco Nazionale del Pollino e ai confini della Calabria, mi sono stupita del silenzio. Ma non quel silenzio tipico dei borghi abbandonati e senza vita. A Civita regna un silenzio quasi rispettoso del luogo, della montagna che qui è protagonista assoluta, delle strade strette e in salita che si arrampicano fino al centro storico.

Silenzio che quasi subito si trasforma in braccia che ti accolgono, mani che ti stringono e voci che ti invitano a fermarti. Sono gli abitanti di Civita, per nulla schivi, ma socievoli e desiderosi di aprire le proprie case.

 

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Se c’è una cosa che mi ha colpito di #Civita è la fierezza dei suoi abitanti. Quella fierezza tipica di chi è orgoglioso della propria storia e delle proprie tradizioni. Se vai a Civita, devi fermarti a conoscere la sua gente. Gli abitanti di Civita vogliono parlarti, vogliono essere ascoltati. Come Zio Antonio, felice di essere fotografato e stabilire un contatto con l’altro, il forestiero. Perciò quando arrivi qui, ricordati di alzare la testa, di non andare di corsa. Piuttosto rallenta!Soffermati sui loro sguardi, anche se non li hai mai incrociati prima. Civita insegna il significato più profondo dell’accoglienza. Qui si pratica la filoxenia, le porte hanno ancora le chiavi nella toppa e si respira il senso di una comunità con le braccia sempre spalancate. #civitanelcuore #borgoslow #igerscosenza #peopleareawesome #accoglienza #viaggiasud #lostretto__indispensabile #igerscalabria #turismolento #blogtour #educationaltour #southofitaly #italianaculture #gentedicalabria #igerspollino #experientialtravel #calabridavivere #enjoycalabria #discovercalabria #direzionecalabria #calabriastyle #bestcalabriapics #southitaly #versosud #amepiaceilsud #mediterraneo #calabria_illife #calabria_da_sogno #autunnoincalabria

Un post condiviso da Mary Sciarrone 👉 viaggiAsud (@lostretto__indispensabile) in data: Ott 15, 2018 at 8:08 PDT

Le Case Kodra e i comignoli di Civita

Qui a Civita parlano tanto, con gli occhi e con il cuore. Persino le case. Tra le prime cose da fare appena arrivati, è andare a scovare le Case Kodra. Ce ne sono circa sei a Civita, una di queste è diventata Casa Museo, nel Rione Sant’Antonio. Ma cosa sono le case Kodra? Sono vere e proprie case parlanti, con tanto di occhi, naso e bocca. Il nome lo si deve Ibrahim Kodra, pittore post-cubista albanese che visitò Civita negli anni ‘90.

Vi stupirete nel trovare finestrelle che diventano occhi spalancati sul mondo, canne fumarie che rappresentano il respiro e quindi il naso, porte che danno l’idea di bocche ora serrate, ora colme di stupore.

Sui tetti di ogni Casa Kodra e non solo, c’è inoltre un cappello, meglio noto come comignolo. È la seconda meraviglia di Civita. I comignoli raccontano molto della storia dei civitesi. Raccontano, in primo luogo, lo status sociale di una famiglia. Ci sono, infatti, i comignoli più elaborati, che stanno a significare la presenza di una famiglia nobile e i comignoli più semplici, appartenenti ai contadini. In secondo luogo, questi comignoli avevano la funzione di allontanare gli spiriti maligni.

weekend dell'anima

Il belvedere di Civita

Lasciati i comignoli, la terza meraviglia da vedere è il Belvedere. Affacciarsi da qui è come ristabilire le proporzioni, constatare quanto siamo piccoli di fronte madre natura. Da qui si scorge la dorsale del Raganello, parte delle gole e il Ponte del Diavolo. E viene naturale voler riavvolgere il nastro e pigiare il tasto restart, prima di quel 20 agosto. Negli occhi di Stefania, Project Manager di BorgoSlow, leggo il dolore, misto a voglia di riscatto. Quello che è successo a Civita lo scorso agosto, ha lasciato un segno in tutti gli abitanti. Un borgo intero che in silenzio si è rimboccato le maniche e ha ripreso a costruire, sebbene non ci fossero segni evidenti di distruzione, sebbene sembrasse tutto al suo posto. Ma le ferite dell’anima sanno essere più profonde.

Il ponte del diavolo

Dal Belvedere c’è un sentiero che conduce all’estrema dorsale del Raganello e al Ponte del Diavolo. Tra scatti e momenti di riflessione, ci siamo immersi nei racconti Stefania, guida eccellente di questi due giorni e profonda conoscitrice del territorio.

Sono tante le storie legate alla “Timpa del Diavolo”. Una leggenda narra, ad esempio, che un proprietario terriero chiese al diavolo di costruire un ponte sul torrente. In cambio il diavolo avrebbe potuto prendere con sé l’anima della prima persona che avesse attraversato il ponte. Durante una notte tempestosa il diavolo costruì 36 metri di ponte e si preparò ad accogliere la prima vittima, ma il proprietario terriero fece attraversare il ponte ad una pecora e una capra. Il diavolo tentò invano di distruggere il ponte e non riuscendovi, sprofondò per l’ira negli abissi.

La dorsale del Raganello

Dal belvedere si inizia il percorso verso l’estrema dorsale del Raganello. Una delle meraviglie dei nostri due giorni a Civita sono state le lunghe camminate. Qui si cammina molto, un cammino faticoso, ma lento, fatto di lunghe pause. Per affrontare alcuni percorsi serve concentrazione, occhi ben puntati sul terreno, un abbigliamento adatto, guide esperte e prudenza.

Lungo questo sentiero imperdibile la sosta al sito Mater Chiesa. Un luogo mistico, dove pare ci fosse l’insediamento di un antico luogo di preghiera e contemplazione. La sacralità di questo luogo è ben rappresentata dagli ulivi secolari che crescono in questo pezzo di terra. Da qui si gode di una vista fiabesca.

Civita - weekend dell'anima

La camminata sull’estrema dorsale del Raganello mi ha fatto comprendere ulteriormente la bellezza della fatica, il legame intrinseco che abbiamo con la natura e la consapevolezza che arriva un momento in cui dobbiamo fermarci e tornare indietro.

Ho affrontato parte di questo percorso al sesto mese di gravidanza. Ero serena e fiduciosa, consapevole che non mi sarei spinta fino alla fine, ma fosse stato anche solo per un chilometro, sapevo ne sarebbe valsa la pena. Non sono arrivata fino alla cima della nostra arrampicata sull’estrema dorsale del Raganello, ma la sensazione di pace e libertà che ho respirato lassù viaggia ancora con me.

La cultura Arbëresh

Un’altra meraviglia di Civita è il suo folclore. Qui convive, infatti, una minoranza linguistica, conosciuta come Arbresh. Civita è stata fondata nel 1476 dagli albanesi e i valori di questa cultura sono stati tramandati fino ad oggi.

L’ospitalità, la fedeltà, la fratellanza, sono tutti valori di cui questo borgo è portatore. Il senso di appartenenza a questa comunità qui è molto forte. L’Arbëresh viene insegnato ancora oggi nelle scuole, lo si parla in casa e le tradizioni di questa cultura vengono tramandati di generazione in generazione. Viene naturale fare un paragone con un’altra minoranza linguistica calabrese, il greco di Calabria. Da un lato vi è l’orgoglio dei parlanti arbëresh, dall’altro il rifiuto del greco di Calabria da parte dei parlanti greko negli anni ’50. In mezzo c’è un processo di rivitalizzazione di entrambe le lingue da parte delle nuove generazioni.

Dove mangiare a Civita – i viaggi dell’anima

A Civita si cammina tanto, dicevamo. Cibo genuino e un buon bicchiere di vino aiutano a recuperare le energie. Sono stati diversi i nostri momenti di ristoro. Il primo con le mandorle dell’azienda Carlomagno, preparate nei modi più disparati. Mi sono sentita privilegiata perché la prima cosa che è stata offerta è stata la mia droga legale preferita: il latte di mandorla.

Un altro momento di ristoro lo abbiamo trascorso presso il ristorante enoteca Oste d’Arberia. La famiglia Nicoletti ci ha condotto in un viaggio autentico tra vini autoctoni e un menù degustazione a km0. Salumi, formaggi, verdure in pastella e innumerevoli delizie, sono state accompagnate dal Cervinago Rosso Calabria, vino prodotto dall’Azienda Agricola Cerchiaria. 

Civita Oste d'Arberia

Una cucina, quella proposta a Civita, che è un connubio tra la tradizione calabrese e quella Arbëresh. Come la pasta. Due sono le tipologie di pasta che ci ha presentato Anna Stratigò, ambasciatrice d’Arberia, in un laboratorio partecipato: striglia (Stridhëlat), dromsa (Dromësat).

La prima è un tipo di pasta che assomiglia ad un gomitolo di lana. Si realizza con pazienza, al punto che un tempo la donna si misurava dal saper fare la striglia o meno, in quanto lavorare quest’impasto richiede una certa abilità, facendo in modo che non si spezzi.

Il secondo tipo di pasta è meglio nota come la pasta dei poveri. La sua preparazione è un vero e proprio rito in cui la farina viene battezzata da un rametto di origano gocciolante d’acqua. In questo modo si formano grumi di pasta, dromsat, che poi vengono cucinati con i legumi o al sugo.

Entrambe le specialità le abbiamo gustate all’interno dell’ultimo ristornate che ci ha ospitato, l’Antico Ulivo. In  un misto di sapori semplici e decisi.

viaggi dell'anima

Dove dormire a Civita – i viaggi dell’anima

Quando il mio compagno di viaggio mi ha comunicato il b&b in cui avrei alloggiato, sono andata a sbirciare su Internet e sono rimasta folgorata dalla descrizione.

“Sei a La Magara, l’unico Bed and Breakfast a Civita situato in pieno centro storico. Sei in un luogo privilegiato sul mondo e sulla memoria. In alto, al di sopra di tutto.
In ogni stanza una loggetta, una finestra. Lo sguardo può danzare: fermarsi in basso sul ponte del diavolo, più in lontananza riempirsi di mare, girarsi di lato e arricchirsi delle verdi e rigogliose piante della Lacxa. Da lì, l’incontro con il vento ti toglie il respiro. È magico, porta con sé tante storie, tanti segreti, sussurri. Sei nel silenzio ma non sei solo. Lo scandire del tempo accompagna il tuo viaggio.” 

Ancora prima di arrivare, ho capito che quello sarebbe stato il posto perfetto dove fermarmi. Stavo viaggiando sola, ma non del tutto. Assieme a me portavo una vita che presto si affaccerà al mondo. Il nostro primo viaggio in due.

 

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Sono convinta che niente accada per caso. A Civita ho inciampato su un segno dopo l’altro e lo so che non sono state coincidenze. Luoghi e volti che mi hanno consegnato memorie e segreti. Ho camminato tanto, ho ammirato la grandezza di madre natura e ancora una volta ho capito che il mio posto è qui, in questa terra. Mi avevano detto che ero stata una pazza a tornare. Probabilmente è davvero così, ma io qui respiro. Vivo. #civitanelcuore #blogtour #viaggiasud #igerscalabria

Un post condiviso da Mary Sciarrone 👉 viaggiAsud (@lostretto__indispensabile) in data: Ott 19, 2018 at 7:43 PDT

Il B&B La Magara rispecchiava esattamente la sua descrizione. Un luogo privilegiato, dove la cosa più naturale che ti viene da fare e fermarti. Ancora più accogliente è la padrona di casa del B&B. Antonella mi ha aperto le porte della Magara con la sua dolcezza, i suoi occhi trasparenti e sinceri e mille racconti di vita. Storie tra passato e presente e un vissuto che mi è sembrato ora dopo ora sempre più simile al mio. C’erano le partenze, i lunghi esili dal paese d’origine e i ritorni. Non si sa per quanto, forse solo fino a quando “Civita avrà bisogno di me“. La cosa più commuovente del B&B La Magara – e un po’ di tutte le strutture ricettive presenti a Civita – è l’amore verso questo territorio. Immenso e generoso.  In ognuna delle strutture ricettive presenti a Civita troverete prodotti tipici, senso di comunità, “il mondo intero in un piccolo villaggio” e tanto cuore.

viaggi dell'anima

Come quello di ‘Zi ‘Ntonio. il vostro viaggio dell’anima non può non concludersi con una sua stretta di mano, una sua pacca sulla spalla. Lui è la memoria di questo borgo, il custode delle tradizioni e i suo sguardo acciaccato ma fiero, vi restituirà la fotografia più bella di Civita.

Per scoprire tutti i racconti del blogtour, basta seguire l’hashtag #civitanelcuore su Instagram.

 

 

Mariarita Sciarrone
Mariarita Sciarrone

Giornalista, esperta di marketing territoriale e digital strategist. Sembrano tante qualifiche, ma sono tutte racchiuse in una professione.  In parole povere mi occupo di valorizzare aziende e territori. Lo faccio principalmente mettendo assieme strategia e parole. Hai bisogno di aiuto?  LAVORA CON ME


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✍🏼Scrivo contenuti e creo strategie digitali per aziende che hanno un’anima. 📍#Calabria e #suditalia lenti Nostalgica per vocazione 👉@secretcalabria

Mariarita Sciarrone | copywriter & digital strategist
Lettere dal mare, 10 settembre 2023 Scrivo questo Lettere dal mare, 10 settembre 2023

Scrivo questo pensiero dalla riva del mare, in un giorno in cui il calendario e la temperatura esterna ci dicono che è ancora estate, eppure attorno si respira l’atmosfera autunnale. 
La destagionalizzazione è un concetto che tocchiamo con mano ma che non abbiamo il coraggio, la voglia di fare nostro.
Ripenso alle parole di Gioacchino Criaco, durante le lezioni popolari di “una festa del giornalismo” a cura de @bizzolo_periodico . Lo scrittore Gioacchino Criaco è sceso dalla cattedra - anche se non l’ho mai visto “salire” in alcuna cattedra - e si è seduto allo stesso livello del pubblico. Una festa del giornalismo per riflettere e tornare a parlarci. Perché in fin dei conti è l’unica cosa che può salvarci. 
La sua storia somiglia a tante altre di noi meridionali. È una storia di fuga dal sud, da questa “madre nera che era l’Aspromonte”, nel suo caso.
“Sono scappato dal buio per cercare la luce. E questa luce era nell’unica prospettiva che noi avevamo - per raconto, per narrazione - che stava a nord.” 
Ma la sua è anche una storia di ritorno, di quelle che ultimamente sto sentendo più spesso. 
Penso e ripenso se sia davvero il caso di continuare a parlare di questo sud che sta cercando di alzare la testa, senza voler passare da vittime. 
Ed è in questa lezione popolare di Gioacchino Criaco che mi vengono ricordate le parole di Corrado Alvaro, “del calabrese che vuole essere parlato”, trattato da uguali fra gli uguali, non messo tra parantesi, non ignorato, non comandato. Ma sono passati settant’anni da queste parole. 
C’è ancora bisogno di ribadirle? Purtroppo sì. Perché esiste ancora quel senso di condizione di inferiorità, quel bisogno di sentirsi legittimati.
Me lo sono chiesta il perché e l’ho ritrovato in alcuni commenti sotto a contenuti pubblicati nell’ultimo periodo. Ho fatto screenshot solo al più recente. 
Sono commenti pubblici, chi li ha scritti ci avrà pensato prima di scriverli. O magari no, ma l’educazione digitale dovrebbe partire da questo: prendersi la responsabilità di ciò che si vomita addosso alle altre persone. 
(Continua nei commenti)
Per noi fuorisede dei primi anni 2000, l’amaro e Per noi fuorisede dei primi anni 2000, l’amaro era uno dei prodotti che più ci avvicinava a casa. In quegli anni l’amaro calabrese era solo uno e lo trovavi in pochi posti eletti.
Così ce lo facevamo spedire con il famoso pacco da giù, quando ancora non si chiamava così. E quando ci consegnavano il pacco era gioia infinita, perché nelle nostre case sgangherate di studenti fuori sede non arrivava un semplice amaro. Arrivava un po’ di famiglia, amici, un po’ di casa. Bastava svitare quel tappo marrone per evocare i nostri ricordi più cari. Offrire un bicchiere d’amaro a chi veniva a trovarci era un po’ come dire: benvenuto a casa mia, ti presento la #Calabria. 
L’amaro, quell’amaro lì, rappresentava un pezzo della nostra identità. Trovarlo in un locale era come riconoscersi, sentirsi parte di qualcosa di più grande.

Oggi gli amari calabresi in circolazione sono tantissimi, ogni provincia è rappresentata da uno o più amari e non si fa più alcuna fatica ad averlo in una casa fuori dalla nostra regione. Ognuno con la sua storia, i suoi profumi, la sua identità.
Alcuni dei migliori amari del mondo sono prodotti qui in Calabria. 

Per questo è nato il contest “Amara Calabria”, giunto alla seconda edizione.
L’obiettivo non è quello di individuare l’amaro migliore ma il drink migliore a base di uno tra gli amari calabresi scelti. Venti tra barman e barlady si sono sfidati per aggiudicarsi il premio per il cocktail migliore. 
A vincere questa edizione, Cristina Familiari. Il suo drink, a base di amaro “Foraffascinu”, ha conquistato il primo posto. Al secondo posto Tindaro Gemellaro con l’amaro Kaciuto e al terzo posto Vasile Vidrasco, in gara con l’“Amaro del Capo”. 
Un grazie speciale al Piro Piro per aver organizzato questo evento a Reggio Calabria e a Giovanna Pizzi per averne curato la comunicazione come sempre in modo impeccabile.
#amaracalabria #amaricalabresi #amariitaliani #bitter #calabriadrink
Ci sono dei luoghi che ancora resistono ad un cert Ci sono dei luoghi che ancora resistono ad un certo tipo di turismo.
Che uno pensa sia un limite, poi una sera a cena alla @locanda_cocintum ho conosciuto Rossana, una ragazza napoletana che non te le manda a dire, che mi ha illuminata.
I calabresi sono resistenti. Non cedono al capitalismo che vuole tutto basato unicamente sul profitto, al calabrese non gliene frega niente se è agosto, se
ci sono i turisti. All’ora di pranzo il gestore del chiosco chiude e se tutto va bene riapre alle 17, dopo il pranzo a casa, dopo il giusto tempo dedicato al riposo. 
C’è una parte di Calabria che resiste. Dove ti siedi a mangiare in una trattoria e una pizza margherita costa ancora il giusto, 4 euro e le linguine allo scoglio 
11 euro. Una cosa così straordinaria ormai, che il menù lo devi fotografare. 

Quei luoghi dove il sapone lo sanno fare ancora in casa e anche se la ginestra non si tesse più, vengono comunque insegnati tutti i passaggi della lavorazioni. Che certe tradizioni è importanti non vengano perse. 
Questi luoghi qui, esistono e resistono. 
Resiste l’ultimo intrecciatore di cestini della Vallata dello Stilaro, resiste chi torna e si reinventa.

Alcune persone vengono da fuori a dirci come dobbiamo campare, salvo poi celebrare la #vitalenta, ma solo su Instagram. Nel frattempo, quella vita lì si sgretola tra le mani. L’identità di un territorio pure. A me personalmente basta sedermi al tavolo di un ristorante e trovare piatti che parlino di quel posto, conversare con il personale di sala che conosce com’è fatto il menù, da dove provengono le materie prime, mi basta leggere un menù per capire se mi trovo nel luogo giusto. 
Mi basta trascorrere due giorni in un posto che quando è arrivato il momento di andar via, anche se non ho visto tutto, quel posto lo conosco al punto che non mi resta l’amaro in bocca per le cose che non ho visto. Tanto so che ci voglio ritornare.
Questo per me vuol dire promuovere e valorizzare un territorio. Lasciare in chi va via il desiderio di ritornare ♥️ 

#raccontiasud #destinazioniitaliane #calabria #valorizzareterritorio
È per questo che amo vivere al Sud. Vi ricordate È per questo che amo vivere al Sud.
Vi ricordate quelle giornate di caldo torrido , a luglio? Quelle in cui la terra bruciava, soprattutto al sud?
In quei giorni avevamo deciso di andare a stare nella casetta al mare, pensando fosse più sostenibile. Ma se devi lavorare il caldo è caldo ovunque. Il nostro Smart working fu Smart per una sola ragione: abbiamo adottato tecniche di sopravvivenza.
La mia è stata questa: la mattina mi svegliavo alle 6 per il troppo caldo. Andavo al bar, prendevo una granita pesto di pistacchio e panna con brioche da portar via e mi dirigevo alla spiaggia dei pescatori. Alle 7 tornavo a casa, con i capelli ancora bagnati e iniziavo a lavorare. Il mare lo rivedevo alle 19.
Non ho mai smesso di lavorare in quei giorni, ma riguardando questo video mi torna in mente quella sensazione di benessere e la bellezza di tutta questa semplicità. 
Lo so che per molti è nulla, ma per me è l’essenza del vivere qui.
Amare questi luoghi d’estate è facile, ma io li amo anche d’inverno. A me basta ci sia il mare e tutto assume un’altra forma.
E non so proprio come spiegarlo. Magari guardando questi frammenti ve lo riesco a trasmettere. ♥️ Ché non è solo per il mare, me il mare c’entra sempre. 

#lostrettoindispensabile #viaggiasud #tiraccontounastoria #raccontiasud #igerscalabria #igersreggiocalabria
Negli ultimi dieci giorni ho girato moltissimo. Tr Negli ultimi dieci giorni ho girato moltissimo. Tra i paesi calabresi, soprattutto.
Ed ho avuto conferma di molte cose:
1. i paesi sono più vivi che mai, a dispetto di tutte le persone che dicono il contrario;
2. la piazza resta sempre il centro aggregante dei paesi. Più volte ho sentito ragazzi scambiarsi frasi che non si sentono più, tipo: “ci vediamo in piazza”; 
3. ci sono ragazzi e ragazze  che stanno ribaltando la logica che nei paesi non c’è niente. Sono riusciti a fare rete. Li senti parlare e ti si apre il cuore, si accende la speranza. Ché la verità è che nei paesi non c’è niente fin quando qualcosa non la fai accadere. A San Vito sullo Ionio, alcuni di questi ragazzi organizzano da sette anni il festival @sonativicinu. Con loro e con altre splendide persone abbiamo parlato di valorizzazione del territorio, di come raccontare il territorio, di comunità, della ricchezza delle storie calabresi, dell’importanza di acquisire consapevolezza di tutta questa bellezza. 
4. la storia di un paese è tra le sue rughe, termine che in passato veniva usato per definire le strade. Le stesse rughe che caratterizzano le persone anziane. La memoria storica di trova quindi lì, e non può andare persa. 
5. Mi hanno detto che parlo così dei paesi perché non ci vivo tutto l’anno, ma queste  persone non sanno che io vivo molto più i paesi che la città. Ed è nei paesi che io mi sento completa. A chi mi chiede perché non ci vivo stabilmente, rispondo che oggi non ci vivo solo per caso e che l’inverno al sud è duro anche se vivi in città. Ma se hai una rete ben salda, un lavoro che ti piace, gli affetti e degli hobby puoi vivere ovunque.
6. i bambini nei paesi ci sono, anche se ve ne sono molti meno, non so se siano più felici, ma sono più liberi. E la libertà va un po’ a braccetto con la felicità.
7. la menta nei paesi non finisce. E la prossima volta che qualcuno mi dice che nei paesi costa tutto di più vi mando quel signore toscano che ha strabuzzato gli occhi quando gli hanno chiesto 16 euro per un amaro Jefferson, un Negroni sbagliato, un americano e un gin tonic con gin medium (quando ha sentito il prezzo  ha chiesto il gin premium). 
#raccontiasud #tiraccontoipaesi
#OdeAiPaesi A chi torna e a chi il paese non l’h #OdeAiPaesi
A chi torna e a chi il paese non l’ha mai lasciato.
Quando chi dalla città torna nei paesi e si lamenta che non ci sia nulla, mi torna in mente la mia infanzia trascorsa nel paese. 

Nel mio paese non c’era molto da fare, c’era un pub, ma era uno di quei pub che hanno fatto la storia. C’era un pub e c’è ancora. Ha resistito al tempo, alle mode, ai cambi generazionali ed è lì a ricordarci che talvolta le cose belle non finiscono. Poi c’era una piazza. O meglio c’era più di una piazza, ma noi stavamo sempre in una. Il giorno che l’hanno chiusa per restauro, ci siamo spostati in un’altra piazza. Pensavamo non sarebbe cambiato nulla, invece è cambiato tutto. Perché io lo scoprii allora che i luoghi fanno le persone. E quando la piazza, la nostra piazza, fu nuovamente accessibile, il gruppo non c’era più e neppure la piazza. La verità è che della vita di paese c’eravamo un po’ stancati. 
C’eravamo stancati di quel niente, perché quando vivi in un piccolo paese, pensi sia una condanna.

Invece, come mi ha detto un giorno il mio amico Claudio @cla.u.dio81 i paesi ci hanno salvato. 
Perché ci hanno insegnato ad annoiarci. A guardare il cielo.
Ad avere fantasia. 
Ci hanno insegnato l’arte dell’inventiva, ad arrangiarci, ad immaginare “come sarebbe stato se”. E l’immaginazione ci ha regalato ambizioni, sogni da coltivare e le più grandi incazzature. 
Dai paesi minuscoli, quelli delle 4 case e un forno, abbiamo sognato metropoli, viaggi epici, avventure nel mondo. 

I paesi ci hanno regalato tempi morti, ore vuote, amicizie che non si sono disperse negli anni, che dove vuoi che ci si perda in un piccolo paese. Si cresce insieme in un paese, e mentre noi diventavamo grandi i paesi si facevano più piccoli.
Molti di noi dai paesi siamo fuggiti. 
Ma è nei paesi che oggi cerchiamo riparo. 
In un mondo in cui si parla molto di borghi, io voglio benedire i paesi. Con una sola piazza capace di contenere i sogni e illusioni di tutt*. 
Che mi piace pensare che fin quando ci sarà una piazza, esisterà un paese in cui tornare. 
Perché “un paese ci vuole. Che anche quando non ci sei” resta affacciato al balcone ad aspettarti.

#paesiitaliani #raccontiasud #viaggiolento
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