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Adotta il greco di Calabria
Se mi parli vivo: adotta il Greco di Calabria

Se mi parli vivo: adotta il Greco di Calabria

Aprile 11, 2018 Mariarita Sciarrone

Il Greko, o Greco di Calabria, è una lingua millenaria ancora esistente e resistente in una manciata di paesini arroccati sulla punta meridionale dell’Aspromonte. Nonostante fosse la glossa parlata in tutta la Calabria sin da quando vi è approdata, nel VIII secolo a.C., adesso rischia di scomparire. E per impedire che ciò avvenga è nato il progetto di Crowfunding “Adotta il Greco di Calabria: se mi parli vivo”. Una vera e propria raccolta fondi per avviare i laboratori linguistici gratuiti di greko e creare un centro di documentazione. 

Adotta il Greco di Calabria e salva la lingua

La prima parola che ho imparato in Greco di Calabria è stata Accherònnome, che vuol dire Iniziamo! E l’inizio di questo viaggio nel mondo Greko è avvenuto quando ho contattato Maria Olimpia Squillaci, in occasione di un Educational Tour per promuovere la Calabria. Assieme al gruppo Calabria Etnica  pensammo che potesse essere l’occasione perfetta per raccontare a giornalisti e blogger provenienti da tutta Italia questa lingua millenaria. Maria Olimpia, linguista di Bova con alle spalle un dottorato di ricerca a Cambridge sul legame tra Greco di Calabria e dialetto calabrese e altri progetti di ricerca, è tra i pochi giovani calabresi madrelingua Greko.

Nel borgo di Pentedattilo, Maria Olimpia, raccontando la storia del Greko di Calabria, lanciò un primo sos: “la lingua sta morendo perché nessuno la parla più. Questa è l’ultima occasione per salvarla”. È stato in quel momento che ho scelto di iniziare un corso di Greco di Calabria.

Ma non è bastato. Servivano fondi per i corsi e così è nato il progetto Adotta il Greco di Calabria.

Adotta il greco di calabria

Se mi parli vivo: Adotta il Greco di Calabria 

Promosso dall’Associazione Culturale Jalò To Vua e con il supporto del Comune di Bova e del Gal area grecanica, il progetto di Crowfunding “Adotta il Greco di Calabria” è coordinato da Maria Olimpia Squillaci, che assieme ad un gruppo di cultori della lingua ha deciso di dar vita ad una rivoluzione dal basso.

Adotta il Greco di Calabria – raccolta fondi per la creazione di laboratori linguistici gratuiti di Greko

Il progetto di raccolta fondi è a sostegno di due attività. La prima “Adotta il Greko – Creazione di laboratori linguistici gratuiti di Greko” si pone l’obiettivo di attivare laboratori linguistici di Greco di Calabria, sia nei luoghi in cui permangono tracce vivide di questa lingua, sia via Skype per i Grekofili italiani e internazionali che vogliono imparare il Greko.

Contribuendo a realizzare questo progetto non si adotterà solo la lingua ma anche i suoi formatori, che in questo modo potranno ricevere un sostegno economico per il lavoro che stanno svolgendo gratuitamente.

Scuola di greco di Calabria

Adotta il Greco di Calabria –  raccolta fondi per il progetto Filoxenia

Il secondo progetto si chiama Filoxenìa, una parola che vuol dire amore per il forestiero.

In un mondo in cui siamo sempre più portati a praticare il termine contrario, la xenofobia, e ad avere paura dello straniero, il progetto Filoxenia è la massima espressione dell’accoglienza, principio etico fondamentale per distinguere l’uomo “selvaggio e senza giustizia”, come diceva Ulisse, da quello “ospitale e giusto”.

Contenitore di questo nobile progetto sarà un antico palazzo nobiliare di Bova, concesso dall’amministrazione comunale. Al suo interno verranno raccolte le storie di partenze e ritorni: di chi è rimasto lasciando andare via i propri cari e di chi ha scelto di risiedere qui per amore di questa terra.  Tutto il materiale raccolto costituirà un percorso esperienziale permanente e in continua evoluzione.

Ma il progetto Filoxenia è molto più ampio. In un’ottica di un’inclusione e di globalizzazione, si prefigge anche di mappare le lingue della Calabria e creare un dizionario della Filoxenia.

A tu per tu con i promotori del progetto Adotta il Greco di Calabria

Ho fatto una chiacchierata con i ragazzi che sono il cuore pulsante di questo progetto, ho ascoltato le loro storie, che in parte già conoscevo, e come al solito mi sono emozionata perché nei loro sogni e nelle loro speranze ci ho visto tutto il buono di questa terra, una Calabria più bella, che merita di essere raccontata.

“La casa della Filoxenia  è un luogo dove vivere l’esperienza dello spaesamento, dove entrare in contatto con l’Altro, dove esercitare l’empatia, presupposto di ogni ospitalità” mi racconta  Francesca Caruso, che sarà una delle responsabili della casa.

Assieme a lei anche Francesca Mancuso: “rivitalizzare il Greko vuol dire anche recuperare tutto il mondo culturale che esprimeva. La Casa della Filoxenia vuole essere il luogo fisico in cui questa cultura riceve nuova linfa. Storie di ieri si intrecceranno con le storie di oggi per mostrare al visitatore che le migrazioni sono connaturate alla natura dell’uomo e che l’accoglienza e la reciproca conoscenza e comprensione sono l’unico modo per sentirsi accolti, stranieri ma mai estranei in ogni parte del modo.”

Perchè nasce il crowfunding Adotta il Greco di Calabria

Ma com’è nata l’idea della raccolta fondi? “Per evitare l’emigrazione di noi giovani e dunque la perdita delle risorse finora create – mi racconta Maria Olimpia – Vogliamo, inoltre, dimostrare che anche il Greco di Calabria, come l’italiano o l’inglese, può dare uno sbocco lavorativo e dunque essere una lingua nuovamente utile.

“Rivitalizzare il Greko significa creare luoghi dove questa lingua viene nuovamente utilizzata, cominciando dalla creazione di posti di lavoro. Aiutare, dunque, questi giovani a rivitalizzare il Greko, dando loro gli anche un rimborso economico è fondamentale. Stabilizzata questa fase iniziale, potremo progettare percorsi a lungo termine di inserimento del Greko in altri ambienti (uffici amministrativi, negozi, ecc.).

Una sfida  ambiziosa, che Maria Olimpia si è caricata sulle spalle, con un sorriso disarmante. Di quei sorrisi che non si arrendono di fronte alle difficoltà, contagiosi, un po’ come le sue idee: contagiose. Perché Maria Olimpia non è sola a portare avanti questo progetto. Ci sono tanti giovani folli a farle compagnia.  Come Eleonora Petrulli, nata e cresciuta a Bologna ma con i genitori entrambi di Bova. Le parole di Eleonora mi commuovono, perché nonostante la sua vita sia sempre stata fuori dalla Calabria, c’è un qualcosa in lei che la richiama sempre qui.

“Perché ogni volta che scendevo giù in Calabria io sapevo che era lì che volevo stare. Sin da quando avevo 5 anni. E non è una cosa legata solo alle radici. Ogni volta che torno è come se iniziassi a respirare più tranquillamente, è come se tutto tornasse al suo posto. Sento che ogni fibra del mio corpo mi dice che quello è il mio posto, che è lì che devo stare”. E nonostante io non sia nata in Calabria ripeto sempre questa frase: “io mi sento calabrese perché to ema ene to ema (il sangue è sangue)”.

 

Foto di Eleonora PetrulliFoto di Eleonora Petrulli

Salvare il Greco di Calabria vuol dire salvare un pezzo di noi

Eleonora è lo specchio di un’Italia, principalmente un Sud, diviso a metà. Tra chi parte e non vuole più farvi ritorno e chi va via con un deserto nel cuore e il desiderio di mettere nuovamente radici qui.

E se Eleonora riuscirà a trasferirsi in Calabria sarà anche grazie al progetto “Se mi parli vivo” e ai laboratori linguistici di cui è una delle docenti. Una passione, quella per il greko che dura da una vita.

“Quando ero piccola mia zia cantava in un gruppo di Greko assieme a Tito Squillaci (padre di Maria Olimpia ndr). Ero così affascinata dal Greko che uno dei miei primi temi è stato sull’alfabeto greco. E ai miei compagni dicevo che venivo da un posto che è la capitale del Greco di Calabria, della Grecia calabrese. Il greco vuol dire Calabria e la Calabria vuol dire quello che sono io.  Salvare il greco vuol dire salvare un pezzo di me. Non riesco proprio a pensare a un futuro in cui non ci sia il greco in Calabria, penso che sarebbe un futuro distopico. Sarebbe come togliere un pezzo di Calabria”.

Tenere accesa la fiaccola del grecocalabro

E poi c’è Freedom Pentimalli, il cui viaggio verso il Greko inizia in modo del tutto inconsapevole, in Grecia. “Pensavo di trovare personaggi mitologici, invece incontrai una Magna Calabria, un popolo troppo simile al mio per essere di un’altra nazionalità. Dopo il greco antico studiato al liceo ed il moderno imparato ad Atene, mi mancava l’ultimo tassello per assaporare in toto le mie radici, il greco di Calabria.

Forse il mio amore per l’Aspromonte non era che un richiamo dei miei antenati. Amare la montagna ed il greco ha un unico delta: tenere accesa la fiaccola del grecocalabro.

Per questo la imparerò così bene da insegnarla. Anche per questo darò il mio contributo alla casa della filoxenìa: per far ricoprire la diversità culturale e far emergere una società conscia della propria identità e consapevole che la diversità è ricchezza. La casa della filoxenìa, riflettendo sull’emigrazione, ci farà aprire gli occhi sul mondo è sul rapporto con l’Altro. L’altro che io ho scoperto molto simile a me, mai nemico”.

Parlare Greko fa bene al cuore

In un’intervista Tito squillaci, medico e profondo sostenitore della lingua greka ha detto che “parlare greko fa bene al cuore, fa risuonare in noi qualcosa di antico e autentico che ci ricollega al passato, ma ci proietta anche nel futuro, che va costruito su radici profonde”. E questo è un buon motivo per adottare il Greco di Calabria. Quali sono le altre ragioni?

Dal punto di vista linguistico potrei citarti tantissime caratteristiche della lingua che ci raccontano un altro modo di vedere le cose, probabilmente migliore! Per esempio in Greko ci sono tantissimi modi per definire la spazzatura e sai perché? Perché non esisteva l’inquinamento, abbiamo creato tutto noi negli ultimi 50 anni, ma non faceva assolutamente parte della nostra cultura, come ci ricorda il Greko. Tutto veniva riciclato e quindi aveva un nome specifico in base al suo riutilizzo. In Greko perfino l’acqua utilizzata per lavare la madia veniva riciclata dandola da bere ai maiali. Questa è la ricchezza unica che il Greko può ancora donarci – conclude Maria Olimpia.

Dall'archivio dell'Associazione Jalò tu Vua: giornata della lingua greca di Calabria 2004. Foto con i parlanti greko (vecchia e nuova generazione).

Dall’archivio dell’Associazione Jalò tu Vua: giornata della lingua greca di Calabria 2004. Foto con i parlanti greko (vecchia e nuova generazione).

Adottando una lingua in via d’estinzione, progetto mai tentato prima, si salva una visione del mondo ricca di tremila anni di storia e le si dà la possibilità di esprimersi ancora sul presente.

Adotta anche tu il greco di Calabria!

Partecipa alla raccolta fondi, donando un contributo economico o la tua professionalità.  Scopri come qui.

Mariarita Sciarrone
Mariarita Sciarrone

Giornalista, esperta di marketing territoriale e digital strategist. Sembrano tante qualifiche, ma sono tutte racchiuse in una professione.  In parole povere mi occupo di valorizzare aziende e territori. Lo faccio principalmente mettendo assieme strategia e parole. Hai bisogno di aiuto?  LAVORA CON ME


Progetti virtuosi a Sud
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One thought on “Se mi parli vivo: adotta il Greco di Calabria”

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✍🏼Scrivo contenuti e creo strategie digitali per aziende che hanno un’anima. 📍#Calabria e #suditalia lenti Nostalgica per vocazione 👉@secretcalabria

Mariarita Sciarrone | copywriter & digital strategist
Nessuna storia dietro questo reel, nessun racconto Nessuna storia dietro questo reel, nessun racconto.
Solo una canzone che mi piace molto e uno dei mie posti del cuore che a Settembre “rende” meglio.
Un mare così bello che mi sembrava un peccato non condividerlo con voi.
Dicono che sta per arrivare l’autunno. Per me ogni giorno come questo è un giorno sottratto all’inverno ♥️

#lostrettoindispensabile #igersreggiocalabria #scillarc #calabriastraordinaria #igerscalabria #igcalabria #raybanstories
Lettere dal mare, 10 settembre 2023 Scrivo questo Lettere dal mare, 10 settembre 2023

Scrivo questo pensiero dalla riva del mare, in un giorno in cui il calendario e la temperatura esterna ci dicono che è ancora estate, eppure attorno si respira l’atmosfera autunnale. 
La destagionalizzazione è un concetto che tocchiamo con mano ma che non abbiamo il coraggio, la voglia di fare nostro.
Ripenso alle parole di Gioacchino Criaco, durante le lezioni popolari di “una festa del giornalismo” a cura de @bizzolo_periodico . Lo scrittore Gioacchino Criaco è sceso dalla cattedra - anche se non l’ho mai visto “salire” in alcuna cattedra - e si è seduto allo stesso livello del pubblico. Una festa del giornalismo per riflettere e tornare a parlarci. Perché in fin dei conti è l’unica cosa che può salvarci. 
La sua storia somiglia a tante altre di noi meridionali. È una storia di fuga dal sud, da questa “madre nera che era l’Aspromonte”, nel suo caso.
“Sono scappato dal buio per cercare la luce. E questa luce era nell’unica prospettiva che noi avevamo - per raconto, per narrazione - che stava a nord.” 
Ma la sua è anche una storia di ritorno, di quelle che ultimamente sto sentendo più spesso. 
Penso e ripenso se sia davvero il caso di continuare a parlare di questo sud che sta cercando di alzare la testa, senza voler passare da vittime. 
Ed è in questa lezione popolare di Gioacchino Criaco che mi vengono ricordate le parole di Corrado Alvaro, “del calabrese che vuole essere parlato”, trattato da uguali fra gli uguali, non messo tra parantesi, non ignorato, non comandato. Ma sono passati settant’anni da queste parole. 
C’è ancora bisogno di ribadirle? Purtroppo sì. Perché esiste ancora quel senso di condizione di inferiorità, quel bisogno di sentirsi legittimati.
Me lo sono chiesta il perché e l’ho ritrovato in alcuni commenti sotto a contenuti pubblicati nell’ultimo periodo. Ho fatto screenshot solo al più recente. 
Sono commenti pubblici, chi li ha scritti ci avrà pensato prima di scriverli. O magari no, ma l’educazione digitale dovrebbe partire da questo: prendersi la responsabilità di ciò che si vomita addosso alle altre persone. 
(Continua nei commenti)
Per noi fuorisede dei primi anni 2000, l’amaro e Per noi fuorisede dei primi anni 2000, l’amaro era uno dei prodotti che più ci avvicinava a casa. In quegli anni l’amaro calabrese era solo uno e lo trovavi in pochi posti eletti.
Così ce lo facevamo spedire con il famoso pacco da giù, quando ancora non si chiamava così. E quando ci consegnavano il pacco era gioia infinita, perché nelle nostre case sgangherate di studenti fuori sede non arrivava un semplice amaro. Arrivava un po’ di famiglia, amici, un po’ di casa. Bastava svitare quel tappo marrone per evocare i nostri ricordi più cari. Offrire un bicchiere d’amaro a chi veniva a trovarci era un po’ come dire: benvenuto a casa mia, ti presento la #Calabria. 
L’amaro, quell’amaro lì, rappresentava un pezzo della nostra identità. Trovarlo in un locale era come riconoscersi, sentirsi parte di qualcosa di più grande.

Oggi gli amari calabresi in circolazione sono tantissimi, ogni provincia è rappresentata da uno o più amari e non si fa più alcuna fatica ad averlo in una casa fuori dalla nostra regione. Ognuno con la sua storia, i suoi profumi, la sua identità.
Alcuni dei migliori amari del mondo sono prodotti qui in Calabria. 

Per questo è nato il contest “Amara Calabria”, giunto alla seconda edizione.
L’obiettivo non è quello di individuare l’amaro migliore ma il drink migliore a base di uno tra gli amari calabresi scelti. Venti tra barman e barlady si sono sfidati per aggiudicarsi il premio per il cocktail migliore. 
A vincere questa edizione, Cristina Familiari. Il suo drink, a base di amaro “Foraffascinu”, ha conquistato il primo posto. Al secondo posto Tindaro Gemellaro con l’amaro Kaciuto e al terzo posto Vasile Vidrasco, in gara con l’“Amaro del Capo”. 
Un grazie speciale al Piro Piro per aver organizzato questo evento a Reggio Calabria e a Giovanna Pizzi per averne curato la comunicazione come sempre in modo impeccabile.
#amaracalabria #amaricalabresi #amariitaliani #bitter #calabriadrink
Ci sono dei luoghi che ancora resistono ad un cert Ci sono dei luoghi che ancora resistono ad un certo tipo di turismo.
Che uno pensa sia un limite, poi una sera a cena alla @locanda_cocintum ho conosciuto Rossana, una ragazza napoletana che non te le manda a dire, che mi ha illuminata.
I calabresi sono resistenti. Non cedono al capitalismo che vuole tutto basato unicamente sul profitto, al calabrese non gliene frega niente se è agosto, se
ci sono i turisti. All’ora di pranzo il gestore del chiosco chiude e se tutto va bene riapre alle 17, dopo il pranzo a casa, dopo il giusto tempo dedicato al riposo. 
C’è una parte di Calabria che resiste. Dove ti siedi a mangiare in una trattoria e una pizza margherita costa ancora il giusto, 4 euro e le linguine allo scoglio 
11 euro. Una cosa così straordinaria ormai, che il menù lo devi fotografare. 

Quei luoghi dove il sapone lo sanno fare ancora in casa e anche se la ginestra non si tesse più, vengono comunque insegnati tutti i passaggi della lavorazioni. Che certe tradizioni è importanti non vengano perse. 
Questi luoghi qui, esistono e resistono. 
Resiste l’ultimo intrecciatore di cestini della Vallata dello Stilaro, resiste chi torna e si reinventa.

Alcune persone vengono da fuori a dirci come dobbiamo campare, salvo poi celebrare la #vitalenta, ma solo su Instagram. Nel frattempo, quella vita lì si sgretola tra le mani. L’identità di un territorio pure. A me personalmente basta sedermi al tavolo di un ristorante e trovare piatti che parlino di quel posto, conversare con il personale di sala che conosce com’è fatto il menù, da dove provengono le materie prime, mi basta leggere un menù per capire se mi trovo nel luogo giusto. 
Mi basta trascorrere due giorni in un posto che quando è arrivato il momento di andar via, anche se non ho visto tutto, quel posto lo conosco al punto che non mi resta l’amaro in bocca per le cose che non ho visto. Tanto so che ci voglio ritornare.
Questo per me vuol dire promuovere e valorizzare un territorio. Lasciare in chi va via il desiderio di ritornare ♥️ 

#raccontiasud #destinazioniitaliane #calabria #valorizzareterritorio
È per questo che amo vivere al Sud. Vi ricordate È per questo che amo vivere al Sud.
Vi ricordate quelle giornate di caldo torrido , a luglio? Quelle in cui la terra bruciava, soprattutto al sud?
In quei giorni avevamo deciso di andare a stare nella casetta al mare, pensando fosse più sostenibile. Ma se devi lavorare il caldo è caldo ovunque. Il nostro Smart working fu Smart per una sola ragione: abbiamo adottato tecniche di sopravvivenza.
La mia è stata questa: la mattina mi svegliavo alle 6 per il troppo caldo. Andavo al bar, prendevo una granita pesto di pistacchio e panna con brioche da portar via e mi dirigevo alla spiaggia dei pescatori. Alle 7 tornavo a casa, con i capelli ancora bagnati e iniziavo a lavorare. Il mare lo rivedevo alle 19.
Non ho mai smesso di lavorare in quei giorni, ma riguardando questo video mi torna in mente quella sensazione di benessere e la bellezza di tutta questa semplicità. 
Lo so che per molti è nulla, ma per me è l’essenza del vivere qui.
Amare questi luoghi d’estate è facile, ma io li amo anche d’inverno. A me basta ci sia il mare e tutto assume un’altra forma.
E non so proprio come spiegarlo. Magari guardando questi frammenti ve lo riesco a trasmettere. ♥️ Ché non è solo per il mare, me il mare c’entra sempre. 

#lostrettoindispensabile #viaggiasud #tiraccontounastoria #raccontiasud #igerscalabria #igersreggiocalabria
Negli ultimi dieci giorni ho girato moltissimo. Tr Negli ultimi dieci giorni ho girato moltissimo. Tra i paesi calabresi, soprattutto.
Ed ho avuto conferma di molte cose:
1. i paesi sono più vivi che mai, a dispetto di tutte le persone che dicono il contrario;
2. la piazza resta sempre il centro aggregante dei paesi. Più volte ho sentito ragazzi scambiarsi frasi che non si sentono più, tipo: “ci vediamo in piazza”; 
3. ci sono ragazzi e ragazze  che stanno ribaltando la logica che nei paesi non c’è niente. Sono riusciti a fare rete. Li senti parlare e ti si apre il cuore, si accende la speranza. Ché la verità è che nei paesi non c’è niente fin quando qualcosa non la fai accadere. A San Vito sullo Ionio, alcuni di questi ragazzi organizzano da sette anni il festival @sonativicinu. Con loro e con altre splendide persone abbiamo parlato di valorizzazione del territorio, di come raccontare il territorio, di comunità, della ricchezza delle storie calabresi, dell’importanza di acquisire consapevolezza di tutta questa bellezza. 
4. la storia di un paese è tra le sue rughe, termine che in passato veniva usato per definire le strade. Le stesse rughe che caratterizzano le persone anziane. La memoria storica di trova quindi lì, e non può andare persa. 
5. Mi hanno detto che parlo così dei paesi perché non ci vivo tutto l’anno, ma queste  persone non sanno che io vivo molto più i paesi che la città. Ed è nei paesi che io mi sento completa. A chi mi chiede perché non ci vivo stabilmente, rispondo che oggi non ci vivo solo per caso e che l’inverno al sud è duro anche se vivi in città. Ma se hai una rete ben salda, un lavoro che ti piace, gli affetti e degli hobby puoi vivere ovunque.
6. i bambini nei paesi ci sono, anche se ve ne sono molti meno, non so se siano più felici, ma sono più liberi. E la libertà va un po’ a braccetto con la felicità.
7. la menta nei paesi non finisce. E la prossima volta che qualcuno mi dice che nei paesi costa tutto di più vi mando quel signore toscano che ha strabuzzato gli occhi quando gli hanno chiesto 16 euro per un amaro Jefferson, un Negroni sbagliato, un americano e un gin tonic con gin medium (quando ha sentito il prezzo  ha chiesto il gin premium). 
#raccontiasud #tiraccontoipaesi
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